Sullo sfondo di questa battaglia tutta politica, innescata da condizioni meteorologiche estreme, si staglia però un interrogativo più grande: come vogliamo rispondere a situazioni emergenziali che rischiano di diventare strutturali con l’aumento delle temperature globali? Di certo non si può pensare di interrompere il flusso delle fontanelle pubbliche, lasciando in sofferenza migliaia di persone senza fissa dimora (leggi di più). Se fino a qualche settimana fa, l’Italia credeva di essere al riparo dagli effetti più disastrosi del cambiamento climatico, oggi li subisce in tutta la loro portata devastante.
Gli interventi da pianificare e le strategie per realizzarli devono essere improntate alla prevenzione più che alla riparazione dei danni. Soltanto costringendo le società che gestiscono l’acqua a non trattenere i ricavi, ma ad investirli per ristrutturare le condutture fatiscenti (che oggi causano una dispersione media del 26% al nord, del 40% al centro e del 60% al sud), sarà possibile evitare la sospensione del diritto universale di accesso all’acqua. L’unico approccio in grado di tenere insieme la garanzia dei diritti e la tutela dell’ambiente è quello preventivo, precauzionale. Ma per garantirlo serve una politica forte, capace di assumersi il compito di guidare transizioni complesse. Un compito di cui oggi, a Roma come nel resto del nostro Paese, le istituzioni non sembrano intenzionate a farsi carico.